Novità dalla X Conferenza Mondiale della Malattia Frontotemporale- Monaco Settembre 2016
Alessandro Padovani, Andrea Pilotto, Barbara Borroni
Clinica Neurologica, Università degli Studi di Brescia
Ad inizio di settembre Monaco ha ospitato l’abituale conferenza mondiale biennale sulla demenza frontotemporale. Centinaia di ricercatori da ogni parte del mondo si sono incontrati per portare le loro esperienze e discutere insieme i risultati delle loro ricerche, dalla biologia di base alle valutazioni strumentali fino ai primi studi clinici controllati.
La conferenza ha affrontato i meccanismi di base che regolano lo sviluppo e la progressione della malattia, sottolineando la differenza fra le diverse forme genetiche e le forme sporadiche. I biologi molecolari stanno studiando a fondo le forme genetiche nella speranza di comprendere quali geni o proteine possano agire da “attivatori” o “silenziatori” della malattia nel corso del tempo, un aspetto con evidenti ricadute terapeutiche.
Il gruppo di Trieste (Professori Baralle e Buratti) ha inoltre mostrato come probabilmente la disfunzione molecolare che coinvolge la proteina TDP-43 (responsabile di molte forme della malattia) danneggi il sistema di comunicazione cellulare attraverso una alterazione dei cosiddetti RNA messaggeri (i “messaggi in codice” che il nucleo invia alla cellula – in questo caso il neurone). Questi messaggi alterati comportano una formazione abnorme di proteine anomale che lentamente si aggregano all’interno dei neuroni, incominciando in questo modo il processo neurodegenerativo.
La conferenza ha inoltre presentato nuove tecniche di sequenziamento genomico quali il Next Generation Sequencing, che verranno presto utilizzate su coorti di pazienti e consentiranno l’identificazione di nuovi geni responsabili o modulatori delle diverse forme di FTD.
Numerosi sono stati poi gli interventi che hanno affrontato il tema della diffusione della patologia nel tempo. Il Prof. Seeley (San Francisco) ha sottolineato l’importanza della specifica disfunzione nella malattia frontotemporale di alcuni neuroni di proiezione situati nelle aree più anteriori del cervello, chiamati neuroni di Von Economo. Nonostante questi neuroni siano stati descritti nel lobo frontale da quasi cento anni, numerosi recenti studi in diversi ambiti (preclinici su animali, di neuropatologia, di neuroimaging) suggeriscono che la malattia frontotemporale possa cominciare proprio dalla disfunzione di questa sottopopolazione neuronale. In analogia ad altre malattie neurodegenerative quali la malattia di Alzheimer o la malattia di Parkinson, la diffusione della patologia frontotemporale nel cervello segue poi probabilmente specifici pattern e “vie di comunicazione neuronale preferenziali “.
Numerosi interventi sia di ricerca di base che applicata hanno mostrato infatti che le forme patologiche aggregate di TDP-43 e tau, le principali proteine coinvolte nella FTD, possono trasmettersi da neurone a neurone attraverso quelle stesse vie di comunicazione che il cervello utilizza preferenzialmente per analizzare e rielaborare gli stimoli. A seconda delle strutture coinvolte preferenzialmente in fase precoce i pazienti potranno presentare all’inizio una sintomatologia diversa- da puri disturbi comportamentali a deficit cognitivi fino a alterazioni nella coordinazione motoria.
Neurologi e psichiatri di tutto il mondo hanno quindi condiviso i risultati su diverse coorti di pazienti, discutendo analogie e differenze nella presentazione clinica iniziale, estremamente eterogenea ma- grazie ai nuovi criteri delle diverse forme- sempre più definita e standardizzata. Numerosi sono stati gli interventi che hanno evidenziato come nel corso del tempo vi sia una tendenza ad una complessa sovrapposizione dei diversi sintomi e delle diverse forme cliniche. Nelle forme del linguaggio e comportamentali sono stati proposti innumerevoli nuovi test in grado di evidenziare anche piccole alterazioni nel riconoscimento delle emozioni o nell’interpretazione e sviluppo del linguaggio.
Per quanto riguarda i pazienti che si presentano con parkinsonismo, il Prof Hoeglinger (Monaco) ha inoltre presentato in anteprima la nuova serie di criteri clinici per la paralisi sopranucleare progressiva (PSP). Questi criteri rendono finalmente ragione della sintomatologia cognitiva e comportamentale e dell’estrema variabilità clinica di presentazione dei pazienti e saranno di estremo aiuto al clinico nell’identificazione precoce dei pazienti. Per quanto riguarda invece i pazienti con esordio comportamentale è stata sottolineata la necessità di un dialogo ancora più stretto con la psichiatria dell’adulto per cercare di non sottovalutare la sintomatologia di presentazione ed arrivare nel più breve tempo possibile ad una valutazione diagnostica completa ed accurata.
L’estrema complessità del quadro sintomatologico rende molto difficile lo sviluppo di marker clinici di progressione ed è per questo di fondamentale importanza l’identificazione di marcatori biologici circolanti, di neuroimaging o neurofisiologici in grado di valutare in maniera indipendente dai sintomi la progressione della patologia ed un’eventuale risposta a farmaci modulatori.
In quest’ottica la conferenza di Monaco è stato un momento importante per condividere innumerevoli risultati frutto del Network europeo GENFI (Network europeo per lo studio delle forme monogeniche di malattia frontotemporale). Questo network (che include anche numerosi centri italiani) si prefigge da anni di valutare lo sviluppo e la progressione nel tempo di diverse forme monogeniche di malattia per carpirne gli aspetti più tipici e significativi fin dalle prime fasi.
Il principale marker circolante proposto e frutto di queste collaborazioni è stato il valore plasmatico dei neurofilamenti, che è stato correlato significativamente alla progressione sia di diverse forme monogeniche di malattia che anche delle forme parkinsoniane quali la PSP. Nelle primissime fasi di malattie invece alterazioni funzionali visualizzate con tecniche di medicina nucleare oppure con risonanza magnetica funzionale sembrano essere le più sensibili anche in assenza di sintomatologia clinica. Ancora prima possono essere presenti specifiche alterazioni neurofisiologiche di risposta dei neuroni alla stimolazione magnetica transcranica, evidenziate nei primissimi studi addirittura più di quindici anni prima dell’esordio stimato della malattia. Queste ricerche dimostrano che il cervello è in grado di compensare per molto tempo le alterazioni genetiche presenti e gettano le basi per possibili trattamenti riabilitativi individuali.
La conferenza inoltre per la prima volta ha visto la presentazione dei risultati di diversi trial clinici farmacologici che miravano a rallentare la progressione della sintomatologia nel tempo. Nonostante i primi farmaci quali la nimodipina o l’idrometanesulfonato (LMTM) non abbiano sortito gli effetti desiderati, gli studi hanno gettato le basi per la standardizzazione di protocolli e la valutazione di diversi marker di progressione che verranno impiegati presto su nuove molecole.
Rimarrà cruciale nei prossimi anni capire come mai alcune specifiche vie di comunicazione e popolazioni neuronali siano più vulnerabili di altre e quali siano i meccanismi di compenso che il nostro cervello mette in atto anni- se non decenni- prima dell’esordio della FTD. I network di lavoro creati soprattutto in Europa hanno dato i primi frutti tangibili per lo sviluppo di biomarker affidabili, necessari per una corretta e tempestiva diagnosi e per la valutazione della progressione di malattia. La conferenza e la rete scientifica che si è venuta a creare in questi ultimi anni non solo ha gettato le basi per una condivisione internazionale di diagnosi e gestione del paziente, ma permette la rapida circolazione del sapere e di ogni nuova piccola rivoluzionaria scoperta che potrà essere un mattone in più nella comprensione della FTD di domani.